Amici ed amiche del Capri Comics, a poco più di due settimane dal lancio di NieR Replicant ver.1.22474487139 (versione aggiornata, a metà strada tra una remaster ed un remake del NieR del 2010), la figura di Yoko Taro e la sua produzione videoludica sono di nuovo al centro dell’attenzione mediatica.
Come abbiamo avuto tempo di imparare, (ri)scoprendolo dopo il successo clamoroso di NieR:Automata nel 2017, si tratta di un autore con uno stile di narrazione articolato, in grado di veicolare, alternando l’azione sfrenata con frammenti di trama dalle profonde implicazioni filosofiche, messaggi che fanno risuonare le corde più profonde dall’animo del videogiocatore.
Qualcuno probabilmente non lo conosce ancora e si starà chiedendo: “Chi è questo personaggio bizzarro che ci fissa con questa maschera dal ghigno un po’ inquietante?”
Cerchiamo allora di farne brevemente la conoscenza e, se avrete il coraggio di afferrare la sua mano e farvi guidare nel suo mondo, potrebbe essere l’inizio di un viaggio meraviglioso.
Un passato che ti segna
Nato a Nagoya nel 1970, durante la sua infanzia vede poco i genitori (assenti a causa dei rispettivi lavori) e viene quindi lasciato alle attenzioni dei nonni. Le cure della nonna sono particolarmente oppressive, esercita pressioni sugli insegnanti, controlla attentamente che completi le sue consegne casalinghe e, una volta ultimate, lascia che si ricompensi con il cibo. Il piccolo Yoko cresce così in un clima di isolamento dagli altri bambini e l’aumento di peso, derivato dal suo rapporto col cibo visto come mezzo per soddisfare un bisogno psicologico, non fa altro che alimentare i suoi disagi sociali.
Una volta considerato abbastanza cresciuto, la nonna smette di accudirlo in maniera soffocante e Yoko inizia a dedicarsi alle sue passioni: manga, anime e videogiochi. Si iscrive al club di fumetto della sua scuola, ma nonostante gli sforzi sociali, i coetanei continuano ad essere degli oggetti misteriosi per lui e le sue prime esperienze sentimentali si rivelano fallimentari.
L’evento più traumatico, però, si verifica nella sua città natale. Un suo amico, mentre cammina sul bordo di un palazzo, cade schiantandosi al suolo, perdendo inevitabilmente la vita sul colpo. Forse, più che la tragedia in sé, a segnare Yoko è la reazione di alcuni compagni che, alla vista del cadavere, scattano foto e ridono della dinamica dell’incidente, trovando risvolti comici nella morte di un ragazzo della loro età.
Inutile specificare come il trauma vissuto, unitamente ai suoi disagi sociali, abbia condizionato la sua vita (come dichiarato dall’autore stesso) e, di conseguenza, la sua produzione artistica, nella quale ha riversato la sua visione del mondo.
Segue poi l’iscrizione alla Kobe Design University, il primo lavoro come designer 3D/CGI alla Namco, la parentesi alla Sugar & Rockets e l’approdo alla Cavia (Computer Amusement Visualizer), dove dirigerà il titolo Drag-On Dragoon, conosciuto in occidente come Drakengard.
Il Taroverse
Da qui parte un ciclo artistico che va avanti da diciassette anni, quello che i fan chiamano Taroverse, ossia il multiverso narrativo dei mondi di Drakengard e NieR e del quale sono stati raccontati circa duemila anni di storia tramite videogiochi, light novel, manga, concerti ed addirittura rappresentazioni teatrali. Il nostro Yoko Taro, infatti, ama lasciare vari tasselli del suo intricato mosaico narrativo attraverso vari media.
Raccontare la lore dei vari titoli (almeno quelli di stampo videoludico) e riportare la loro storia commerciale richiederebbe troppo spazio per un solo articolo. Ci tengo però a sottolineare quelli che sono dei comuni denominatori dei prodotti diretti dal nostro direttore mascherato.
Il comparto narrativo è sempre ben articolato e profondo. Come detto prima, i traumi ed i disagi passati hanno influito sulla sua scrittura. Si nota infatti la voglia di narrare rapporti interpersonali intensi e di rappresentare l’umanità nelle sue accezioni positive, ma soprattutto negative. La sensazione che il mondo che circonda può essere perfido e deviato, che nell’animo di ogni essere umano risiede qualcosa di sbagliato, è costante (così come la critica alla società moderna). Egli stesso ha affermato, in uno dei suoi interventi autoironici, di essere un “negromante”, e di sentirsi marcio dentro. Anche filosofia popolare ed esistenzialismo trovano spazio nelle sue opere, ed in NieR:Automata alcuni personaggi omaggiano vari filosofi portandone il nome.
La varietà del gameplay, soprattutto nei due NieR, è incredibile. Yoko, per sua stessa ammissione, è una persona che si annoia facilmente e forse, proprio per far fronte a questa noia, inserisce sequenze di gioco che variano dal platform a scorrimento laterale al dungeon con visuale dall’alto in stile Diablo, fino ad arrivare ad avventure testuali e sezioni da shooter map (quest’ultima categoria anche per omaggiare giochi come Gradius, con il quale ha iniziato la sua carriera da videogiocatore sulla console della Epoch Cassette Vision).
Il comparto sonoro è semplicemente meraviglioso, ogni colonna sonora rasenta la perfezione e non sento di dover aggiungere molto altro a riguardo.
“Ma se è così bravo perché è diventato famoso solo dopo Automata?”
vi starete chiedendo. In soldoni possiamo dire che i difetti principali di Drakengard, Drakengard 3 (Yoko Taro non ha diretto il secondo capitolo) e del primo NieR risiedono nel comparto tecnico non propriamente brillante.
Altri fattori, quali la complessità della trama, disseminata su vari media come già detto, e la difficoltà nel reperire tutti i finali, non hanno aiutato a superare lo status di prodotto di nicchia. I Drakengard hanno ricevuto voti molto bassi dalla critica e NieR Replicant (pubblicato in Europa come NieR Gestalt, con un protagonista più adulto rispetto alla controparte nipponica), nonostante i temi trattati e l’intreccio di trama, non è stato accolto come forse meritava.
La consacrazione è arrivata con NieR:Automata, grazie al budget più alto offerto da Square Enix e all’ottimo lavoro degli sviluppatori di PlatinumGames, che hanno permesso a Yoko Taro di esprimersi al suo meglio. Tutti gli elementi positivi menzionati poco fa, affiancati da un comparto tecnico valido (il tutto coadiuvato dal design accattivante dei personaggi e degli ambienti), hanno dato vita ad un prodotto di successo. Successo che ha riacceso retroattivamente l’interesse verso le altre opere del Taroverse.
“È una storia bellissima, ma perché indossa la maschera?”
o forse non ve lo state chiedendo ma, nel dubbio, argomento comunque.
A quanto pare, si tratta in parte di timidezza, di poca voglia di farsi vedere in pubblico e di non voler deludere eventuali “aspettative” da parte dei fan. Sicuramente, dalla presentazione di NieR:Automata all’E3 del 2015 si è aggiunta anche la componente di marketing. La Square Enix gli ha infatti fornito una maschera realizzata professionalmente e dei vestiti pensati ad hoc per le sue apparizioni in pubblico. Il reparto promozione ha pensato che per un gioco così atipico servisse una campagna pubblicitaria più umoristica. La sua presenza fisica, dato che è solito fare battute in cui prende in giro sé stesso e l’industria videoludica, si è resa quindi fondamentale, ed è ironico pensare che, successivamente al boom del 2017, ogni sua affermazione sia stata riportata avidamente dagli stessi media che hanno bistrattato le sue opere precedenti.
Infine, mi piace anche pensare a Yoko che indossa maschera di Emil (personaggio di NieR) come collegamento metanarrativo tra il mondo del Taroverse ed il nostro.
È il momento di congedarci
Dietro questa maschera c’è un uomo fragile ma con la volontà ferrea di raccontare storie incredibili attraverso il linguaggio del videogioco (e non solo). Un autore che, a cinquant’anni tondi, dice di non sentirsi arrivato e di voler migliorare ancora. Una persona in grado di farti vivere avventure dalle quali uscire arricchito e commosso, e che adesso ti sta tendendo la mano perché non aspetta altro che accompagnarti nel suo mondo, di fare una passeggiata con lui nel Taroverse.
Vi consiglio di accettare l’invito, perché ne vale la pena, credetemi.
About the author
Classe '91. Amante delle arti visive, della musica ed appassionato delle culture pop asiatiche. Scarabocchiatore freelance.