Berserk è cambiato. Questo è poco ma sicuro. Tutti se ne sono accorti e tutti ne hanno parlato additando principalmente l’introduzione della magia come problema più grande di questo nuovo ciclo di storie. Tuttavia, la magia in Berserk è sempre stata decisamente presente, e mentre possiamo concordare che fosse in parte marginale all’interno della storia e che ora abbia in qualche modo preso il sopravvento, trovo sia giusto fermarsi ad analizzare quello che a mio avviso è il vero cambiamento nell’approccio di Miura al suo manga: La spiritualità.

Berserk, fino a un momento che potremmo sommariamente indicare come l’apparizione di Shilke la strega, ma che probabilmente è possibile datare già alla fase precedente la seconda eclissi, è sempre stato un manga fatto di sangue, corpi e acciaio. Nonostante abbia attraversato diverse fasi, toccando in sé anche brevemente generi come le cospirazioni di corte, la tattica militare e la storia d’amore, il punto di vista dell’autore sulla storia da raccontare è sempre stato prettamente fisico. I mostri, ben presenti già dalle prime pagine del manga, non erano altro che versioni potenziate di un qualsiasi guerriero: certo, qualcuno aveva qualche arto in più e alcuni erano in grado di volare, ma tutti si battevano sullo stesso piano ed erano in grado di essere tranquillamente feriti con la fedele spada Ammazzadraghi che Gatsu ha portato con sé sin dall’inizio della storia.

All’interno del cupo mondo eretto da Miura, niente era in grado di scappare alla semplice concretezza di uno spadone, di un colpo di cannone o di una freccia scagliata con massima accuratezza in un tessuto morbido del corpo. Questo, almeno, finché la situazione in Berserk non ha cominciato a farsi completamente diversa. Con l’introduzione degli ordini religiosi e la figura di Farnese e Serpico, la questione corporea all’interno del manga inizia a complicarsi o quanto meno ad essere affiancata da quella extra-corporea.

E mentre Miura sembra rifiutare qualsiasi tipo di approccio positivo alla spiritualità (ovvero un tipo di culto con canoni, tradizioni e sopratutto gerarchie costituite), l’introduzione della magia naturale, anche più volte relazionata alla religione, motivo per cui Farnese può senza indugio darsi allo studio della magia, avviene senza alcun tipo di forzatura nel pensiero autoriale e cambia completamente le dinamiche di potere all’interno del manga. Shilke diventa indispensabile contro i gruppi di nemici troppo numerosi per essere affrontati semplicemente nel combattimento corpo a corpo, e Gatsu, grazie all’introduzione dell’armatura del Berserk, non teme più gli scontri, che anzi sono quasi un pretesto per analizzare la sanità mentale del protagonista.

L’attenzione principale del lettore e del mangaka non è più quella dell’esito dello scontro, bensì il recupero mentale di Gatsu e la possibilità che egli venga salvato da Shilke in tempo per non commettere una strage tra i suoi stessi compagni.

Così come il gruppo di protagonisti, anche i comprimari cambiano, e se il Cavaliere del Teschio ora brandisce una spada in grado di tagliare le dimensioni, Grifis affronta il nemico più potente apparso fin ora (L’imperatore Ganishka) semplicemente attraverso la sua presenza, spezzando la proiezione energetica in cui questi avvolgeva il proprio corpo e infine utilizzando il suo stesso corpo come sacrificio per perforare il velo tra le realtà e materializzare il proprio sogno, da sempre punto centrale della trama di Berserk.

La presenza di creature magiche e di incantesimi è dunque, a mio avviso, semplicemente un corollario a una visione del mondo radicalmente cambiata da parte dei personaggi del manga, i quali, avendo scoperto una dimensione ulteriore a quella in cui avevano sofferto e combattuto per la prima metà della storia, hanno deciso di compiere il passo successivo e ulteriore verso la realizzazione del proprio sogno.

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Gaetano Ricci
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200 anni al giorno. Non laureato, non studiato, poco letterato e quasi analfabeta, però mi piace leggere le cose e capire perché mi piacciono.

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