Amiche e amici del Capri Comics, oggi vogliamo affrontare un argomento di nicchia, ovvero vogliamo parlarvi di un autore da molti dimenticato, al quale si deve, però, uno dei primi resoconti strutturati del concetto di zombie, ormai penetrato nellla cultura contemporanea a tutti i livelli possibili.
Stiamo parlando di Sua Maestà degli Stramboidi, William Buehler Seabrook, scrittore, giornalista, viaggiatore, occultista e, in almeno un’occasione, cannibale.
Allacciate le cinture e preparatevi rivivere gli straordinari viaggi in giro per il mondo, il successo, le perversioni e il declino dell’ormai dimenticato “re degli zombie”, a suo tempo uno dei più seguiti e controversi esponenti della letteratura di viaggio statunitense.
Gli inizi
Nato il 22 febbraio 1884 a Westminster, Maryland, in una benestante e influente famiglia borghese, William Buehler Seabrook fu affidato, sin dall’età di 8 anni, alle cure dei nonni paterni, allorché il padre decise di lasciare la carriera da avvocato per entrare in un seminario luterano. A causa di questo abbandono, Seabrook sviluppò un profondo risentimento nei confronti dei genitori, poi ampiamente espresso in molti dei suoi scritti.
L’unica figura adulta a cui il piccolo William sembrò affezionarsi fu sua nonna Piny, che lui stesso descrisse come una donna dalla personalità libera e anticonformista, dotata di una sorta di aura magica.
Nelle sue memorie, Seabrook raccontò vari episodi fantastici legati alla figura della nonna, episodi che si posizionano a metà tra il sogno e il delirio. Il più interessante è di certo quello nel quale nonna Piny lo avrebbe accompagnato sulla cima di una collina, dove sorgeva un’antica torre di pietra. Al suo interno, il piccolo William trovò una bellissima donna, incatenata e seduta su di un trono, che lo affascinò enormemente. Questa visione, o sogno, o qualsiasi cosa fosse, ossessionò Seabrook per tutta la vita, e rappresentò forse la scintilla dalla quale nacque la sua passione per il sadomasochismo.
La prima fuga
Successivamente, Seabrook frequentò il college, lavorò come reporter per l’Augusta Chronicle e viaggiò in Europa, prima di ritornare negli Stati Uniti e sposare una ragazza di nome Katie Edmondson, figlia di un ricco dirigente della Coca-Cola. Prese quindi a lavorare come pubblicitario, ma, ben presto, l’estrema banalità di quella vita borghese iniziò a stargli stretta.
L’opportunità di fuggire si presentò nel 1916, nel pieno della Grande Guerra, e Seabrook la colse al volo: si arruolò come guidatore di ambulanze nell’American Field Service, di stanza in Francia, e, mesi dopo, durante la sanguinosa battaglia di Verdun, fu vittima di un attacco col gas che gli fece guadagnare un rimpatrio immediato e anche una medaglia all’onore. Tornato negli Stati Uniti, si insediò con la moglie in una bella fattoria poco fuori Atlanta (gradito regalo del suocero) e iniziò a scrivere racconti, saggi e incipit di vari romanzi. E qui, frustrato e insoddisfatto dai risultati, contrasse la malattia che lo perseguitò per tutto il resto della sua vita: l’alcolismo.
Tempo dopo, col beneplacito della moglie Katie, con la quale intratteneva un rapporto oramai puramente platonico, William iniziò una relazione con una donna misteriosa, tale “Deborah Luris”, che gli permetteva finalmente di sfogare le sue annose fantasie sadomasochistiche. Divenuto reporter scandalistico a New York, l’uomo occupava il suo tempo libero scrivendo racconti erotici e gialli e frequentando i circoli bohémien del Greenwich Village, dove peraltro conobbe e divenne amico dell’occultista britannico Aleister Crowley.
Le notti d’Oriente
Nonostante i buoni guadagni, Seabrook era ancora profondamente insicuro riguardo il proprio talento: ogni critica negativa lo feriva e lo spingeva ad ubriacarsi senza ritegno. Aveva bisogno di nuovi stimoli, aveva bisogno di evadere, di scappare ancora una volta.
Ma verso dove?
L’Europa non bastava più, e così, quando un amico libanese gli propose di seguirlo a Beirut, Seabrook non se lo fece ripetere. Nel giro di poche settimane, lo scrittore viveva tra i Beduini nel deserto, partecipava alle cerimonie dei dervisci turchi e vagava tra le montagne dell’Iraq del nord in groppa a cammelli e cavalli.
Il resoconto di questo viaggio, Adventures in Arabia, fu pubblicato nel 1927 ed ottenne un buon successo di pubblico, anche grazie al modo in cui Seabrook seppe trasportare i lettori dell’epoca in una realtà esotica a loro quasi aliena. Egli amava infatti scrivere di sé come dell’avventuriero occidentale che, attraverso una mente libera e aperta, riusciva ad immergersi a fondo nei mondi più misteriosi ed eccitanti, superando così la soffocante morale del mondo civilizzato.
Ad Haiti
La seguente tappa di Seabrook fu Haiti, dove soggiornò a casa di un’anziana sciamana, Maman Cèlie, che gli permise di prendere parte e di appassionarsi ai riti e alla filosofia della religione Vodoo. In particolare, lo scrittore rimase affascinato dalle storie riguardanti gli zombie, cadaveri resuscitati e resi schiavi da uno stregone, detto bokor.
Un giorno, durante una gita sull’isola di La Gonave, Seabrook visitò una piantagione e finì faccia a faccia con un bracciante completamente alienato.
Si trattava di uno zombie? Oppure, molto più probabilmente, di un poveraccio sfinito dalla fatica? O magari di una persona affetta da ritardo mentale? Quale che fosse la verità, l’esperienza haitiana fu poi raccolta nel sensazionalistico The Magic Island, che, pubblicato nel 1929, divenne subito un bestseller, sopratutto grazie al suo continuo oscillare tra voglia di raziocinio e fascinazione per il misticismo. Una tecnica, questa, che Seabrook utilizzò in quasi tutti i suoi reportage, e che rapiva i lettori colti dell’epoca, sempre alla ricerca di storie esotiche e misteriose.
The Magic Island ebbe il merito di diffondere la figura dello zombie vodoo nella letterature e nel cinema occidentale, ma, a voler essere davvero precisi, l’avvistamento di presunti morti viventi nelle comunità creole della Lousiana e dei Caraibi era già stato indagato negli ultimi decenni dell’Ottocento, e quindi ben prima di Seabrook, da Lafcadio Hearn, giornalista e scrittore irlandese, attivo negli Stati Uniti e poi naturalizzato giapponese.
Tuttavia, pur avendo raccolto decine di testimonianze di fenomeni inspiegabili e avvistamenti anomali, Hearn non riuscì mai a vedere uno zombi con i propri occhi, mentre Seabrook fu invece uno dei primi cronisti bianchi ad essere ammesso alle celebrazioni dei riti Voodoo, testimoniandole in toni talmente appassionati e sensazionalistici da finire, paradossalmente, per indebolire la causa per la quale egli stesso finì per battersi: l’autonomia di Haiti. Gli Stati Uniti avevano infatti occupato l’isola nel 1915, reintroducendo la prassi coloniale del lavoro di corvée, che peraltro alimentava le pratiche Voodoo legate, apparentemente, allo sfruttamento industriale nelle piantagioni.
Haiti riguadagnò l’indipendenza nel 1934, due anni dopo l’uscita del film L’isola degli zombies (White Zombie), diretto da Victor Halpersin, interpretato da Bela Lugosi e ispirato proprio a The Magic Island. Caposaldo del genere horror hollywoodiano, White Zombie viene considerato, di fatto, come il primo film a portare sullo schermo il personaggio dello zombie inteso come schiavo controllato da una forza malefica. Questa figura verrà poi reinterpretata come vero e proprio morto vivente ritornato dalla tomba da George Romero a partire dal suo rivoluzionario La notte dei morti viventi del 1968.
Ma questa è un’altra storia.
Ritorniamo al buon vecchio Seabrook, che dopo essere rientrato da Haiti, era ancora più… affamato… di avventure… e non solo.
Il cannibalismo
Recatosi in Africa, lo scrittore entrò in contatto con una tribù dedita al cannibalismo rituale, una pratica che consiste nel mangiare parti dei nemici uccisi così da acquisirne la forza.
Durante una di queste cerimonie, Seabrook avrebbe chiesto al capo villaggio di poter assaggiare anche lui la carne umana, ma quest’ultimo, che non voleva permettere ad uno straniero di prendere parte al rito, gli avrebbe servito invece della carne di gorilla. Terribilmente deluso, ma deciso più che mai a soddisfare la sua morbosa curiosità, Seabrook si recò a Parigi e riuscì, tramite lo stagista di un obitorio, a procurarsi un pezzo di coscia da un un uomo da poco morto in un incidente.
In Jungle Ways, uscito nel 1930, Seabrook raccontò dei suoi viaggi nel cuore dell’Africa e dedicò un intero capitolo alle specificità della carne umana, la quale, a suo dire, avrebbe lo stesso sapore del vitello.
Il declino
Nel 1932, Seabrook tornò in Africa, stavolta in compagnia della scrittrice Marjorie Muir Worthington, conosciuta nel 1929 e divenuta in poco tempo sua compagna. I risultati di questi viaggi saranno Air Adventure, del 1933, e The Monk of Timbuktoo, del 1934, che però non eguagliarono il successo dei lavori precedenti. Nel frattempo, l’alcolismo, le numerose relazioni extraconiugali e le fantasie sessuali sempre più estreme costarono all’uomo il suo primo matrimonio e molti amici.
Resosi conto del proprio declino, umano ed professionale, Seabrook si fece internare volontariamente nel centro di riabilitazione mentale di Bloomingdale, vicino New York. Lo scrittore entrò nell’istituto il 5 dicembre 1933, giorno in cui il Proibizionismo fu soppresso, e ne uscì nel luglio del 1934, senza tuttavia aver risolto i propri problemi. Intimistica, minuziosa, inquietante e potentissima testimonianza di quest’esperienza fu Asylum, pubblicato nel 1935, anno di fondazione degli Alcolisti Anonimi, associazione che rivoluzionò i metodi di lotta all’alcolismo.
Sempre nel 1935, Seabrook sposò la Worthington, ma il loro matrimonio si trasformò ben presto nell’ennesimo calvario. L’insuccesso di Asylum e dei libri successivi spinse Seabrook a chiudersi ancora di più nelle proprie ossessioni, che includevano lo studio dei fenomeni paranormali, il lanciare maledizioni di gruppo su Hitler e l’incatenare le proprie amanti, sempre consenzienti, nella sua fattoria fuori New York.
La fine…
La Worthington sopportò le stranezze del marito fino al 1941, quando quest’ultimo portò, nella casa coniugale, la sua ennesima amante, Constance Kuhr, una donna autoritaria e dai modi brutali, tra cui quello di obbligare Seabrook a immergere i gomiti nell’acqua bollente, così da causargli delle ustioni che gli impedissero di piegarli per poter bere. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: esausta, la Worthington chiese ed ottenne finalmente il divorzio. Anni dopo, nel 1966, la donna raccontò del suo rapporto con Seabrook nel libro The Strange World of Willie Seabrook.
Nel 1943, la Kuhr partorì anche il primo figlio di Seabrook, anch’egli chiamato William. Purtroppo, nemmeno la paternità riuscì a riportare sui binari una vita tanto devastata, e così, il 20 settembre 1945, lo scrittore si arrese ai propri demoni: ingoiò una spropositata quantità soporiferi e non si svegliò più.
No… forse non ancora
William Buehler Seabrook fu un personaggio anomalo per il suo tempo, uno scrittore freak, edonista e sfrenato, che gli Stati Uniti non erano ancora pronti a giudicare senza pregiudizi. Infatti, nonostante il buon successo ottenuto nella prima parte della propria carriera, Seabrook fu ben presto messo da parte come autore di serie B e da lì dimenticato, sia dal pubblico che dalla critica. Solo oggi alcune sue opere, come Asylum e The Magic Island, iniziano a tornare sul mercato americano, dopo anni ed anni di oblio, e anche qualche reporter e qualche autore inizia ad interessarsi nuovamente alla sua figura.
In tal senso, l’opera che, a parere di chi scrive, meglio racconta e rappresenta la vita di questo autore così fuori dagli schemi è The Abominable Mr. Seabrook, biografia a fumetti scritta e disegnata da Joe Ollman e pubblicata da Drawn & Quarterly nel 2017.
Con uno stile di disegno caricaturale e grottesco e una sceneggiatura che affronta (a tratti romanzandoli) tutti gli snodi di una vita davvero estrema e di una mente profondamente travagliata, Ollman confeziona una biografia allo stesso tempo dura e delicata, perfetta per conoscere e immergersi nel mondo, nel paradiso e nell’inferno di un uomo strambo, problematico, moderno, libero, esagitato, immorale, bisognoso d’amore e di aiuto, a cui la cultura pop contemporanea deve moltissimo, anche se sono in pochi a ricordarsi di lui.
Ma chissà… forse il buon vecchio signor Seabrook finirà prima o poi per essere davvero riscoperto… e resuscitato… proprio come uno dei suoi tanto amati zombie.
About the author
Classe ‘92. Laureato in/appassionato di: lingue, letterature e culture straniere. Giornalista pubblicista, divoratore di storie, scribacchino di pensieri propri e traduttore di idee altrui.